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domenica 11 maggio 2008

Donne darko


Titolo originale: Donnie Darko

Paese: Usa

Anno: 2001

Regia: Richard Kelly

Interpreti e personaggi: Jake Gyllenhaal (Donnie Darko), Drew Barrymore (Karen Pomeroy), Patrick

Non c’è da stupirsi se da qualcuno è stato descritto come uno “tra i 100 film più belli della storia del cinema”. Quello che sorprende è, semmai, che un film di tale bellezza sia stato un flop negli Stati Uniti e che in Italia sia stato proiettato dopo ben 4 anni dalla sua uscita, quando a rendergli giustizia è stato il tamtam scatenato su internet che l’ha reso oltreoceano un cult-movie. E nonostante tutto oggi è ancora a molti sconosciuto.

Raccontare la trama di Donnie Darko non è semplice e, a dir la verità, non avrebbe senso farlo, perché troppo complessa e dall’interpretazione troppo soggettiva. Forse ciò che rende davvero speciale questo film è infatti proprio questo: le sue innumerevoli chiavi di lettura che costringono lo spettatore a lasciarsi coinvolgere non solo emotivamente, ma anche intellettualmente nella speranza di risolvere, dare un senso, che è sempre personale, a quello che appare un complicato rompicapo.

Detta semplicemente: il protagonista, Donnie, in cura da una psichiatra perché affetto da “schizofrenia paranoide”, è preda di allucinazioni nelle quali gli appare un gigante e grottesco coniglio grigio che gli preannuncia la fine del mondo (tra 28 giorni, tempo durante il quale si dipana la vicenda) e lo spinge a compiere in preda al sonnambulismo strane azioni, salvandogli però la vita.

Ma soprattutto lo apre alla conoscenza dei viaggi nel tempo, in un susseguirsi di elementi che si ricompongono solo alla fine come pezzi di un puzzle la cui immagine però, rimane poco chiara anche una volta ricomposta.

Ma la storia così descritta non rende l’idea, potrebbe trarre in inganno. Non si tratta di fantascienza, né di un thriller apocalittico, ma di un film che definirei filosofico, se questo non gli attribuisse un’aria terribilmente noiosa.

Ciò che ci incanta in Donnie Darko, sono gli splendidi dialoghi, surreali ma geniali, la fotografia e le inquietanti musiche di Michael Andrews che si accompagnano a classici degli anni 80 (il tutto si svolge nell’ottobre dell’88) e a Mad World di Gary Jules, sulle cui note si chiude degnamente la pellicola.

Quello che più conta però è l’immagine del mondo che ci viene descritta: in una dimensione che allo spettatore appare assurda, ma che si avvicina fin troppo pericolosamente a quella reale, l’unico personaggio che, al di là delle sue stranezze, appare ai nostri occhi come dotato di lucidità, è Donnie, considerato invece da tutti, ad eccezione della sua ragazza Gretchen, un pazzo e additato con disprezzo come un emarginato che non sa integrarsi. Alla fine, anche se a caro prezzo, si rivela essere lui il vincitore, la sua diversità: un ragazzo schizofrenico è l’unico in grado di rivelarci l’omologazione e il bigottismo della società e dei personaggi che lo circondano e soprattutto di grattare via lo smalto che li rende così luccicanti mostrandoci la falsità e il lordume che nascondono.

Gretchen: “sei strano...“

Donnie: “scusa...“

Gretchen: “no, era un complimento“

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