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giovedì 2 ottobre 2008

Proibito parlare

Dopo l'estate ricominciamo a parlare di libri, iniziando con un volume che di questi tempi è di estrema attualità: Proibito parlare.
Già dal titolo si intuisce che che non stiamo parlando di un harmony né di un argomento facile da digerire, ma al contrario di un libro angosciante che raccoglie alcuni degli articoli di una grande giornalista e soprattutto di una grande donna, una donna che “vive la sua vita e scrive ciò che vede” e che osò opporsi ad una forza troppo grande. Quella donna era Anna Politkovskaya, quella forza è la dittatura putiniana.
Anna è stata assassinata il 7 ottobre 2006 da ignoti, ma non è difficile capire per chi lavoravano se si conoscono gli argomenti scomodi di cui si occupava.
Numerosi infatti sono i suoi pezzi sulla prima e seconda guerra cecena: reportage che descrivono i crimini commessi dai soldati russi contro la popolazione civile, che raccontano dei presunti terroristi e delle condizioni disumane in cui vivono i profughi rifugiatisi in Ossezia del Sud.
E oltre alla Cecenia, altri due temi sono affrontati nel volume: l'attentato al Teatro Dubrovka e quello alla scuola di Beslan, in cui morirono rispettivamente 137 e 349 (di cui 156 bambini) persone.
Non bisogna nemmeno commentare quanto sia commovente e toccante il capitolo riguardante quest'ultima strage, ma una cosa va sottolineata e particolarmente apprezzata: l'oggettività di Anna, che se da una parte disprezza i guerriglieri ceceni per il loro vile gesto, allo stesso modo condanna il completo abbandono delle famiglie delle piccole vittime da parte del governo.
“Scrivere ciò che vedo”, era questo infatti il suo motto, il motto di una giornalista scomoda che il potere ha schiacciato, come ha fatto con tanti altri suoi colleghi morti per aver aver scritto la verità nella Russia “democratica” di Putin. Più di 100, si stima, quelli uccisi tra il 2000 e il 2006.
Conoscendo queste cifre, fa raggelare il sangue un gesto come quello compiuto dal nostro Presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che durante una conferenza stampa puntò un mitra immaginario contro una giornalista russa che aveva rivolto una domanda scomoda al primo ministro Putin, causandole una crisi di pianto, a quanto pare, giustificata.
Non è un caso, dunque, che questo libro abbia vinto il Premio Tiziano Terzani 2007: come quello di Terzani si tratta infatti di vero giornalismo, un giornalismo che anche in Italia sarà difficile riottenere.

Stranieri a casa propria

Quando si segue una vicenda come quella di Abba, il diciannovenne italiano originario del Burkina Faso, ucciso per aver rubato un pacco di biscotti, o almeno con questo pretesto, sono molte le cose che ci fanno pensare.
Ci si chiede innanzitutto, come è successo negli ultimi giorni, in un dibattito incessante tra politici, magistrati e gente qualunque, se sarebbe successa la stessa cosa anche se ad entrare in quel maledetto bar fosse stato un bianco, un milanese. Perché il ragazzo italiano lo era, su questo almeno nessuno ha avuto da contestare.
Ci si chiede, attraverso ragionamenti futili, se è giusto parlare di razzismo e xenofobia, o se si tratta di un “normale” caso di furto a cui i proprietari del negozio hanno reagito un “po’” esageratamente.
Ci si chiede se non sia un ennesimo caso di strumentalizzazione della politica, che ormai si deve rifugiare nelle disgrazie delle famiglie per poter affrontare temi importanti come quelli dell’immigrazione e della discriminazione.
Ma queste domande non hanno senso. Basta guardare i fatti per rendersi conto dell’unica cosa importante: l’inutile morte di un ragazzo come tanti altri, che abitava a Cernusco sul Naviglio, aveva studiato a Gorgonzola, andava a ballare il sabato sera a Milano con gli amici e come ogni ragazzo qualunque si trovava ad affrontare ora il difficile problema della disoccupazione, dei contratti a termini e di un lavoro in fabbrica.
Sono state dette tante cose su questa storia, anche troppe. Troppe le smentite e le aggravanti che si sono susseguite di giorno in giorno.
Abdoul e i suoi due amici avevano rubato oltre i biscotti anche l’incasso del bar. Poi no, non è vero, il portafoglio con i 600 euro in realtà è sempre rimasto lì, sul bancone, e i due proprietari, prima di inseguire i “rapinatori” non si sono nemmeno preoccupati di controllare. I tre ragazzi avevano una mazza con cui hanno minacciato Fausto Cristofoli e il figlio Daniele è intervenuto per difenderlo con la spranga dando un solo colpo. Ma poi si scopre che i fendenti invece erano sei, che non c’erano segni di colluttazione e che il giovane era già a terra quando è stato colpito ripetutamente, che la mazza non esisteva, o che comunque non è mai stata usata. Si dice che la xenofobia non c’entra. Invece poi forse sì, visto che la signora Cristofoli si dichiara apertamente razzista, perché la famiglia ha subito già altri furti da parte di extracomunitari e da poco nella zona una donna è stata violentata, ma poi si viene a sapere che il figlio ha la fedina sporca e che il marito ha addirittura precedenti per rapina, violenza sessuale e tentato omicidio.
Le uniche parole che però che danno un senso a tutto, alla disperazione di una famiglia che scopre attraverso una tragedia di essersi illusa forse per trent’anni di essere stata accettata e accolta da un altro paese, sono quelle della sorella di Abba: «Credevamo di essere italiani, ora sappiamo di essere neri». Le dichiarazioni della Moratti,del vicesindaco di Milano, del pm, di Rifondazione, dei centri sociali, degli striscioni, delle manifestazioni impallidiscono di fronte a questa unica e breve frase cristallina. Forse è solo su questa che dobbiamo riflettere.
Ne aggiungiamo un’altra però, quella di Gad Lerner: “sia chiaro che la Milano dell' Expo 2015 diventerà metropoli europea solo facendo sentire a casa loro, non ospiti provvisori e indesiderati, pure i suoi abitanti più recenti di nome Abdoul”.

Ancora una notte

Ancora una notte, resteremo a guardare il cielo
e tutte quelle stelle che non avevano paura di perire
e tutti quegli angeli che non avevano paura di cadere
Lacrime di cristallo cadranno dall'immenso blu
e laveranno le nostre anime corrotte
Una dolce brezza sfiorerà i nostri visi affannati
La luce del mattino guarirà i nostri occhi troppo ciechi per guardare
Il canto degli uccelli sanerà le nostre orecchie troppo sorde per ascoltare
Rincorreremo un sole che affonda all'orizzonte
e ogni cosa sarà verde come sotto il mare
Come vorrei... come vorrei che voi foste qui!

Anonima

Questo coma sensibile
questo docile arenarsi
questo candido fraintendersi
tutte queste notti abbandonate all'oscurità
queste strane frazioni di esistenza
questi buchi neri
queste nullafacenti costruzioni
queste vane lotte
questi sorrisi compunti
queste orecchie tappate
questi ampi spazi vuoti
questi bagni candidi
queste impronte
queste continue fughe
queste strane acconciature
questi impegni colmi di dogmi
questi amori circoncisi
questo dio incombente
questa morte cantante
quest'alito ignorante
queste mosse imparentate
questi test di valutazione
questi ambiti
queste teste
questi suggerimenti
queste vocazioni
questi volteggi di parole
queste lacrime attese
questo noi evitato
quest'io indagato
questo falso pudore
questo sacro sudore
questo santo predicatore
questo cieco bagliore
questo incanto celato
quest'attimo trafugato
questa vita imbalsamata
questa ignobile compravendita
questo bizzarro atteggiarsi
quest'uomo indolenzito
questo volto annerito
questa teoria incompresa
queto dare e avere
questo rincorrersi
questo spiegarsi continuamente
queste verità
questa severa falsità
questa giustizia propagandata
questi libri di polvere
questi anni nel sapone
questo sapore di fine.

PSYCHOPATHIC ROMANTICS: Viaggio al Centro... della Mente Umana

Ogni esperienza porta con sè cambiamenti inalaterabili, così è per tutti, e così è stato anche per gli Psychopathic Romantics; gruppo casertano di amici (oltre che di esperti musicisti), composto da Mario "Dust" La Porta (batteria e voce), Vincenzo Giambattista Tancredi (basso), Augusto De Cesare (chitarra e mandolino), Filippo Jr. Santoiemma (chitarra, bouzouki e sitar) e Raffaele Frascadore (voce, kazoo, flauto e chitarra). La band si ritrova infatti dopo alcuni anni di peripezie (anche mentali) tra Italia e Stati Uniti, con un bagaglio troppo ricco di esperienze per restar impresso solo nella memoria, e decide così di raccontare la vita, la quale altro non è che un viaggio, in un autentico romanzo musicale intitolato Altered Education.
E' questo, appunto, più di un album, è un autentico excursus sulla mente umana, e su tutto ciò che ne può alterare la percezione oggettiva del mondo. I temi ricorrenti sono estremamente attuali, si parla dell'individuo perso nella società, che cerca (inutilmente) conforto in una religione basata su verità non tangibili e sull'ipocrisia dei precetti. L'uomo, così giunto al bivio, è obbligato a scegliere tra un'esistenza viziosa, fatta di eccessi e dall'incessante ricerca del piacere, e una vita incentrata sulla moralità e sull'impeccabilità. Si esclude così ogni possibilità di trovare il giusto equilibrio, che rimane unica vera grande utopia della nostra contemporaneità.
Il tutto è cantato in un soffio, in una poesia tanto stralunata quanto eternatrice, che ha ereditato molto dalle liriche Barrettiane dei primi Pink Floyd. Anche le musiche sortiscono lo stesso effetto, quasi terapeutico, alternando momenti di serenità, di rilassamento... a tratti violenti, scanditi da riff audaci e da assoli coinvolgenti. A completare l'opera vi è il tocco magico della psychedelia, la quale concilia le parti più riflessive a quelle più vivaci, e che, in un'azione tipicamente progressive, "mixa" le tracce dell'album... rendendolo un tutt'uno con sè stesso.

Si rincomincia

"Di nuovo,dopo una pausa estiva di tre mesi,a riempire righe con parole libere che vogliono essere la risposta ad un'informazione sterile sempre più controllata. Il tempo passa ed ora più che mai c'è bisogno di rompere la staticità quotidiana per abbattere quelle distanze che ci separano da cosa è giusto:è il momento della libertà,è il momento della partecipazione."

domenica 22 giugno 2008

Poesie

Sopravvivere.
Perchè un nuovo giorno sanguina le mie
certezze.
Imparare a cominciare daccapo.
Sopravvivere questa notte.
Perchè nuove non ve ne saranno.
Accarezzare il rimpianto che torbido scolpisce il
ricordo.
Sognare un passato che mai fu presente nella
speranza che un giorno sarà futuro.
Sopravvivere.
Lasciare che le labbra mute raccolgano il dolore
che tra verità nascoste geme l'assenza.
Imparare a nascere prima dell'alba e morire
dopo il tramonto, per celare, sotto vesti consunte,
l'incombenza
del ghiaccio sottile che docile ammaestra la
realtà a sminuzzare l'anima alla grandezza della
convenienza.
Sopravvivere.







Il soave risplendere di un buio travolgente si
musica indomito sulle corde naufraghe del mio
animo.
Nella ricerca impaziente di un senso che mai fu
diviso profanamente in altri.
Componendo lievi stupori che si infrangono
sulla roccia del mio cranio divelto, come una
vecchia erbaccia, dal sottile deserto
dell'inafferrabile domanda.
Le note che scaturiscono grondanti non sono che
una nebbiosa illusione di una fragile opinione,
tra fumi caldi e molesti che inebriano il corpo
lasciandolo volteggiare nell'aria gelida di parole
dal volto immacolato