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domenica 22 giugno 2008

Straniero, chi?


Interpretare le nuove frontiere (uso questo
termine in quanto oggi è sempre meno significativo
e per questo, paradossalmente, molto
discusso) culturali, civili, politiche e identitarie
attraverso canoni che definirei “trame storiche”
oramai decadute di fatto, ma insediate tuttora nel
modo di rappresentarsi dello stato, della cultura
e della collettività, è quantomeno anacronistico e
lontano dalle possibili traduzioni del divenire
sociale.
L'identificazione nazionale, l'attaccamento alle
radici storico-religiose rappresentano, oggi, non
più un patrimonio conservabile,
ma strumenti di difesa contro un
futuro globale che cancella i
punti di riferimento esistenti. Il
cosmopolitismo annunciato (il
“villaggio globale”) si approssima
sempre più al “caosmospolitismo”:
il mondo si trasforma
progressivamente in una
grande città dove non sarà più
possibile controllarne le evoluzioni.
Futile considerare che i fondamentalismi e le
ideologie si faranno più solide. Sarà necessario
ripensare noi stessi e il nostro “ruolo” sulla terra
così come la vicinanza sempre più prossima dello
straniero, di chi è sconosciuto non solo per la provenienza.
A questo proposito vorrei citare le parole di un
filosofo francese (Jean-Luc Nancy), importanti
nel pensare il contatto e la venuta dello straniero
(che potremmo, nel contesto attuale, presentare
come immigrato).
“L'intruso si introduce di forza, con la sorpresa o
con l'astuzia, in ogni caso senza permesso e senza
essere stato invitato. Bisogna che vi sia un che di
intruso nello straniero che, altrimenti,
perderebbe la sua estraneità. Se ha già diritto
d'ingresso e di soggiorno, se è già aspettato e ricevuto
senza che niente di lui resti al di là
dell'attesa e dell'accoglienza, non è più l'intruso,
ma non è più nemmeno lo straniero.
Escludere ogni intrusione dalla venuta dello
straniero non è logicamente accettabile, né eticamente
ammissibile.” Nancy vuole sottolineare il
rispetto di cui l'estraneità, la diversità dell'altro
ha bisogno, in quanto le sole che permettono
ancora un avvicinamento e un confronto.
Prosegue..”Accogliere lo straniero deve essere
anche provare la sua intrusione”.
L'atteggiamento di chi accoglie
“presuppone che si
riceva lo straniero annullando
sulla soglia-(confine
nazionale se prendiamo un
esempio concreto)- la sua
estraneità: pretende quindi
che non lo si sia affatto ricevuto.
Ma lo straniero insiste e
fa intrusione. E' proprio
questo che non è facile accettare
e neppure forse concepire...”
Il senso dell'accoglienza non si deve ridurre,
com'è tipico delle società post-colonialiste, ad un
gesto di neutralizzazione e assimilazione. E' il
gesto di chi si sente dominante, parificare le
diversità altrui alla propria cultura, al proprio
modo di pensare, al proprio sistema sociale e alla
propria comunità.
La mentalità evoluzionistica porta chi ha rag
giunto un maggior stato di benessere a sentirsi in
diritto di gestire la situazione di chi quello stato
non l'ha raggiunto, con la presunzione di considerarsi
il modello ultimo di una forma di umanità.
Rendere uguali a se stessi è il più alto gesto di
dominio, le cui conseguenze sono
l'appiattimento della collettività e la maggior
possibilità di controllo. Ma questo gesto è il gesto
di chi è più debole.
In questo modo si viene a generare attrito e
rivaità tra persone di estrazione e radici diverse,
ingigantendo paura e conflitto con l'esito di un
arroccarsi sempre maggiore, tra persone e stato,
verso una politica identitaria e dell'appartenenza
che però è del tutto fittizia.
Xenofobia e germi neofascisti fanno parte di tutto
questo. Lo straniero e l'intruso sono già noi. E'
tempo di smettere di credere che sia sempre qualcun
altro a dover essere accolto.
Scrive Kant nel saggio “Per la pace
perpetua”:”Tutti gli uomini..come membri della
società per via del diritto al possesso comune
della superficie della Terra, su cui, giacché è una
superficie sferica, non possono disperdersi
all'infinito e devono sopportarsi a vicenda, e
originariamente nessuno ha più diritto di un
altro a stare in un luogo di essa”.

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