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martedì 13 maggio 2008

Musica


Ogni spazio e tempo della vita può avere la sua
colonna sonora, tanto che anche i gesti più consueti
possono essere "orchestrati" direttamente
da colui che li sta vivendo.
Da qui, se la nostra esistenza sottende per certi
versi la musica e il suo ascolto e consumo, affermare
che gli uomini e, nella fattispecie i giovani,
abitino la musica, ammette un'osservazione e
una lettura dell'altra faccia della medaglia.
Del suo reciproco.
La musica abita le persone e i giovani più di
quanto essi credano di farlo.
Abitare la musica.
Non è certo un domicilio semplice. Se non altro
per la grandezza della sua architettura, il suo
essere solida ed effimera allo stesso tempo.
Ma al di là di questo ristretto dualismo e
rimanendo all'interno della metafora, abitare
qualcosa implica molto più che il semplice starci
dentro.
Una casa la si arreda, si cerca di renderla confortevole
e, in genere, significa comunità anche
laddove vi sia un solo abitante. Una casa si può
aprire per ospitare.
La modalità di ascolto è significativa per comprendere
l'inversione di tendenza che ha portato
l'uomo a colonizzare la musica, a riferirsene
come fosse traccia anesteticamente codificabile,
piuttosto che abitarla ed esserne abitato.
(tenendo conto che ascoltare è diverso da
sentire).
Solitaria, "auricolare" appunto.
Ma da sempre, e ancora oggi in alcune culture, la
musica accompagna ogni evento fondamentale e
non, del percorso di un essere umano all'interno
della comunità e quell'evento non può essere
slegato dal suo essere musicale come dal suo
essere danzato.
La musica la si abita anche e soprattutto danzandola.
E' con tutto il corpo che l'uomo si apre ad essa e
non solo con l'orecchio che invece consideriamo
il suo primo diretto interessato.
Se questa esperienza e approccio sono fondamentalmente
perduti è possibile affermare che,
l'affacciarsi all'evento musicale, sia che riguardi il
sentire sia esso una creazione, non è più una residenza.
La natura del rapporto sarà auditiva, mediatica
ma non di incontro. Perchè se essa non è residenza
allora non può risiedere in noi.
La musica oggi dà molto meno significato alle
azioni dell'uomo sebbene ne sia il sottofondo.
Se si possono considerare posizioni come quella
"i giovani abitano la musica" è perchè la tecnologia
permette ai ragazzi, sensibili alle sue evoluzioni,
di avere in tasca non solo il telefono cellulare,
ma insieme ad esso, incorporato, un lettore
mp3 che contiene musica ma anche video musicali.
Inoltre perchè la musica viene diffusa e commercializzata,
e quindi vissuta dai giovani, come
un fattore visivo più che uditivo e sonoro.
Il valore e la rilevanza che ha soprattutto sulla
fascia adolescenziale, forse la preda più facile e
inconsapevole, è legata ai canali di trasmissione
addetti, per così dire, alla musica, alle classifiche,
alle suonerie, alle pubblicità (spesso si viene a
conoscenza di artisti e brani famosi attraverso i
jingle degli spot) e alle sue categorizzazioni
infinite che la ossificano sempre più rendendola
facilmente strumentalizzabile e frantumabile.
I fenomeni di isterismo e di identificazione a cui
si può assistere, tra i giovani, sono connessi sia a
i fenomeni cui sopra sia, e in maniera preponderante,
alle immagini e ai personaggi visibili in
video di cui, purtroppo, la musica è di nuovo un
sottofondo, probabilmente sempre più lontano.
Così esiste certo attenzione alla "scena" musicale,
ma alla musica?
Il rapporto musica-uomo rischia di ridursi ad
uno stato dove il secondo diventi il target di un
marketing spietato, e la prima un motel a ore.
Tuttavia, oltre alla sua costante commercializzazione,
la suddetta in questione, sta subendo un
inesorabile processo di positivizzazione. Il suo
concetto si lega sempre più ad un mero fatto
spazio-temporale del tutto misurabile e conoscibile,
chiaro e democratico nella sua totale.
disponibilità che non è, in questo caso, solo
quella degli scaffali delle messaggerie musicali.
Proprio qui si insinua il paradosso. Citando
Adorno "Un soggetto mentre va in rovina nega
tutto ciò che non è del suo stampo". L'estensione
piana è ben lungi dall'essere democratica e
abbandona la musica alla mercè del privato. La
democratizzazione avviene a patto che venga
promosso un determinato prodotto.
Divenendo manovrabile e confezionabile la
musica affronta un vasto processo di orizzontalizzazione
perdendo, di fatto, in altezza.
Una volta fattane una bella tovaglia pulita e
distesa, la si può imbandire con più o meno ciò
che si vuole.
Da strumento per campagne ambientaliste od un
nuovo umanesimo, alla creazione di linee di
vestiario che ad essa si ispirano, lasciando che i
giovani acquistino una vera personalità, preferibilmente
alternativa, che con la grandezza della
musica non ha niente di che spartire.
Così, trasformandosi in un ottima lente demoscopica,
una larga fetta viene automaticamente
esclusa non prestandosi alla nuova canonizzazione.
Rimane nell'ombra costretta a circuiti
chiusi, con la magra consolazione, forse, di non
venire infettata dal germe della popolarizzazione.
Laddove essa non è malefica in sè, ma nel
momento in cui non è educata a sonorità di uno
spettro più vasto. Un circolo vizioso che non
affligge solo la musica.
Ma questi sono fenomeni più o meno conosciuti e
già in atto.
L'idea di un positivismo della musica, dalla
discografia moderna alle boyband create ad hoc,
dai festival ai gruppi che si ritrovano nelle sale
prove, porta al tentativo di un'atrofizzazione del
prodotto musicale. Al refrain, al ritornello.
Quello che definirei il luogo sicuro e la vera
essenza del suono contemporaneo. Esso ha
bisogno di un ''luogo sicuro'' per poter essere
compreso, ascoltato, memorizzato.Per queste
ragioni il refrain ne rappresenta l'anima, la struttura
portante.
Da qui la politica dei discografici, il cui progetto
è una tracklist con due/tre brani candidati a
singolo e gli altri a far da comparsa.
Non è un caso che si creino spesso delle compilation
che racchiudono "perle" che si trovano qua e
là. Di nuovo per un ascolto non difficoltoso e fine
a se stesso.
Senza contare l'incremento della testualità, la
quale gradisce un fondo di note prive di spessore
ad alta imprimibilità, così che il messaggio abbia
una buon tappeto rosso su cui sfilare.
(lascio il valore e i significati dei testi alla considerazione
personale di ognuno). Anche se vi
sarebbe da aggiungere che l'appiattimento di
senso e significato delle parole, che si spalmano
su delle note "zerbino" come base, riflette sì
l'afflosciarsi delle idee e del cantautorato ma del
resto è parte integrante di questa nuova idea.
La quale chiude la possibilità di una controparte,
eppure portante, di un silenzio riflessivo, stimolante
che si trasformerà se fertile in nuova creazione
di musica. Anche dove, essa, non necessariamente
comunica, ma implode, è ermetica, non
sense. Aspetti che comunque rimangono
incentivi.La relazione musica-uomo è ben lungi
dall'essere dipartita in soggetto e oggetto, in
senziente e sentito. L'essere umano è già musica
nello spezzare il silenzio del mondo con il grido
della venuta alla vita, nel battere e levare di ogni
suo gesto. Lasciamo che la musica ci appartenga,
cantiamo, poetiamo e non cerchiamo sempre di
essere a tempo. Battere e levare appunto. E' questione
di ritmo. Il ritmo ci appartiene. Ci abita. Il
nostro cuore è la cassa tambureggiante di un tamburo
universale.
Che cos'è in fondo la nostra esistenza se non quel
tempo finito e variabile che intercorre tra le profondità
di un colpo di cassa e le altezze di quello
di un rullante?
Che cos'è in fondo se non la tensione vibrante di
una corda di chitarra cavalcata da una nota? Una
nota che non si definisce nella sua isolatezza, ma
è libera nel suo propagarsi svanendo ma non del
tutto. Essa eccede già nel suono che le segue e
non ne prescinde.

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